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PALANZANO - I teneri fiori della primavera sono spuntati sulla salita della Via Crucis che porta al Querceto. E' il giorno dell'ultimo mesto saluto a Padre Natale Montalti, una folla è assiepata intorno all'eremo dove da martedì c'è stata una veglia ininterrotta. L'Eucarestia viene celebrata sul prato: sotto il portico l'altare, intorno l'assemblea e il corpo di Padre Natale adagiato in una bara dove diverse mani hanno lasciato un fiore. Il vescovo Bonicelli, il vicario generale Ranieri, preti e religiosi delle diocesi di Parma e Reggio concelebrano il Memoriale di Cristo. Anna, la consacrata che ha fatto fraternità con il fondatore e fratel Lino, è accanto al feretro.

E' il tempo del doloroso distacco, vissuto nei giorni dell' "ottava" di Pasqua che per la Chiesa segna il momento della gioia. Sul Vangelo viene letto il brano di Giovanni sull' apparizione di Gesù ai discepoli lungo il lago di Tiberiade. Monsignor Bonicelli ricorda l'eremita, sottolinea la centralità di Dio nella sua vita che gli fece scegliere il Querceto "non solo perché gli permetteva di starsene appartato, ma perché attraverso la creazione sperimentava un incontro particolare con il Padre".

Ci sono i parrocchiani della Val Bardea, che lo vedevano passare a piedi col sacco in spalla, le suore delle case della Carità del reggiano, i pellegrini che hanno vissuto al Querceto periodi di eremo, i "poveri nel corpo e nello spirito" che tante volte sono stati accolti." Tutti trovavano consolazione. La sua vita è stata un unico atto di condivisione", ha detto il vescovo. Il semplice casolare dalle piccole finestre disseminato di frasi evangeliche e di croci è il ritiro aperto al mondo dove Padre Natale, che aveva 57 anni, ha vissuto "uno stile di vita che considerava secondarie le cose, un digiuno che metteva Dio e i fratelli al primo posto".

Una vita per la quale il frate, nel periodo oscuro della malattia, ha ringraziato e invitato tutti a ringraziare: "Riconoscete con tutto il cuore e con tutta l'anima che tutte le buone promesse che il Signore ha fatto sono giunte a compimento, neppure una è andata a vuoto".

Al termine della celebrazione la bara viene chiusa e parte il corteo verso il monastero di Lagrimone. Poi per Sant' Angelo di Gatteo dove il corpo di Padre Natale riposerà.

                               

                                             Laura Caffagnini 

QUERCETO -   C’è un grande silenzio al Querceto che sovrasta il rumore delle auto salite per portare un saluto a padre Natale. Amici accorsi da ogni dove, i familiari arrivati alla prima ora, i contadini che piangono un fedele accompagnatore . La voce modulata nella calda inflessione romagnola tace sul volto sempre sorridente, adagiato nella piccola cappella dell’eremo. Stasera ci sarà l’ultimo rosario e domani alle ore 9 l’ Eucaristia prima che il corpo di padre Natale venga tumulato a Sant’ Angelo di Gatteo ( in Romagna).  “Era un sant’uomo” dice una anziana signora di Ruzzano, “ un uomo che sapeva sdrammatizzare anche le situazioni più difficili”. Era il prete che durante l’omelia di rivolgeva agli amici presenti interpellandoli : “ C’è qui Paolo che vorrebbe andare in Danimarca. Voglio dirgli che per quello che sta cercando non ha bisogno di andare così lontano”. Per lui lo spazio ed il tempo erano qualcosa di relativo : “ sono ventitre anni che ti aspetto” sono ad una persona che poi divenne abituale frequentatrice del Querceto. “ Sapeva vedere dentro gli avvenimenti, come se li conoscesse in anticipo. Prima che tu potessi manifestarglielo sapeva già cosa ti agitava dentro.

”Prendere in mano la Bibbia ogni giorno era l’esortazione che rivolgeva a tutti “ anche se non sempre la capite”. Era quello il suo segreto manifestato, la fonte da cui scaturiva la carità verso i fratelli e le sorelle e gli donava serenità. Una serenità che, tra alti e bassi, ha mantenuto sino alla fine. Lo testimonia don Corrado Vitali che lo ha visto poche ore prima della morte .” Ci eravamo visti a Ravenna all’inizio della quaresima .

 Era reduce da un periodo molto duro, la malattia oltre a minarlo nel fisico lo aveva prostrato anche nello spirito. Invece,  negli ultimi mesi si era rasserenato e aveva anche ripreso a sperare nella guarigione .Così l’ho trovato martedì pomeriggio quando sono salito al Querceto inconsapevole dell’imminenza del suo passaggio”.

Padre natale era molto legato alle famiglie e con tante coppie già dagli anni di Cesena aveva camminato nella fede. A due sposi che erano andati a trovarlo dopo il matrimonio aveva detto “ State uniti. Oggi le coppie stanno insieme con lo sputo. Voi, per resistere , dovete fare catenaccio”.

Era sua abitudine assestare agli interlocutori dei benevoli "pugni" sulla fronte, per affetto e quasi a voler far entrare più in profondità il messaggio.  Ai mariti chiedeva scherzosamente: "conosci una che si chiama....?"

Al Querceto l'essenzialità era vissuta con amore: al posto della luce elettrica le candele: l'acqua veniva presa da una cisterna. Nessun lavoro era troppo umile, anche la pulizia dei servizi igienici era perfetta letizia, così come la cura dell'orto sovrastante la casa e dei fiori disposti tutt'intorno al casolare. Lungo la Via Crucis in legno che costella la collina padre Natale percorreva le stazioni leggendo le Scritture e interrogando i presenti sul contenuto dei brani ascoltati.

All'ospedale di Castelnuovo Monti, circa un anno fa, quando già gli avevano diagnosticato la malattia, Padre Natale affidò ad alcuni amici il suo saluto con le parole di Giosuè: "Ecco io oggi me ne vado per la via di ogni abitante della terra; riconoscente con tutto il cuore e con tutta l'anima".

 

                                             Laura Caffagnini

 

Venerdì Santo

 

     Lo conoscevo solo attraverso il racconto che i miei amici si facevano l' un l'altro dopo ciascuna visita a quella Collina. Adesso anch' io ero diretto con essi sulla Collina e nel mio animo si affollavano sentimenti confusi. La coscienza ed il presentimento di essere vicino ad un momento importante, trasformavano quello che avevo previsto come una vigilia di gioia e di profonda serenità in una attesa intrisa di un vago senso di angoscia. Mentre l' auto percorreva i tornanti che si snodavano verso quel luogo sulla Collina la mia mente ripercorreva gli aspetti della personalità del Padre e mi sorprendevo a confrontarli con la mia inadeguatezza e impreparazione.

"Che cosa prevarrà in lui? L' aspetto pastorale, l'aspetto mistico, l' aspetto ascetico e monastico, l' aspetto carismatico? Quante preghiere e pratiche di purificazione sarebbero state necessarie per partire più tranquillo e preparato per questa visita?" 

Quando giungiamo in vista della casa sulla Collina, provo lo stesso sentimento di quando a scuola entravo in aula per l' esame. Come d' incanto i timori sparivano e l'animo si faceva tranquillo e le parole uscivano da sé. Anche ora la sola contemplazione del luogo dirada le nebbie della mente e purifica l' anima, con quella catarsi immediata che e’ propria solo dei luoghi dotati di una sacralità speciale.

La personalità del Padre appare prima di tutto attraverso la semplicità Francescana del luogo. La prima risposta che ricevo dentro di me è più che esplicita: "Per quanti Kriya avessi potuto praticare io non sarei mai riuscito a vivere in modo così semplice e duro." 

Poi appaiono i cartelli. A differenza dei normali cartelli che si leggono in giro, questi non servono a dare indicazioni e soprattutto non vietano nulla. Sono invece altrettanti biglietti da visita che ai miei occhi danno una informazione in piu’ sul Padre.

"E’ un uomo che tende la mano agli uomini in nome di Dio" , mi dico.

Torno alla mia mezz' oretta di posizione meditativa e ai miei Kriya non praticati. Forse sarebbe bastata una preghiera umile e sincera.    

Ci viene detto di riunirci in una sala dove ci disponiamo attorno ad un lungo tavolo. E’ Venerdì Santo. Consumiamo il frugale pasto che ci siamo portati. Mi vergogno quasi del panino avvolto nella stagnola. Mi vergogno ancora di più quando vedo che i miei compagni e compagne, pur avendo ancora meno, lo spezzano e lo pongono sulla tavola per condividerlo.

Mi rendo conto che sono diversi: essi sono già proprio dentro lo spirito della Collina perché riescono a godere della presenza del Padre anche se non lo abbiamo ancora visto, occupato com' e’ a dividersi, o sarebbe meglio dire a moltiplicarsi, tra i numerosi ospiti giunti prima di noi.

Eppure egli e’ li tra noi. I miei amici già lo sentono. In me l' attesa si e’ ora fatta serena e dolcissima.

E’ vero, forse lo sto sentendo anch' io. Infatti lo stato in cui entro é così strano che non sono in grado di narrare il suo ingresso nella sala. Improvvisamente lo sento parlare a capotavola a meno di un metro da me e non so dire come sia entrato. Mi colpisce che parla e si muove velocemente. Mi ero immaginato un portamento lento, solenne e ieratico. Mi trovo invece dinnanzi ad un uomo semplice che, agitando la sua barba nera e degli occhietti scintillanti di profonda intelligenza, mi guarda sorridendo mentre continua a parlare con i miei amici. Il mio insegnante mi presenta e lui pronto di rimando dopo un breve saluto: "Senti, tu sei ottimista o pessimista?"

Rispondo di istinto riferendomi più alla razionalità della vita che al mio impegno spirituale.

"Anche troppo ottimista, Padre. A volte rasento l' incoscienza".

E mai come questa volta é proprio vero. Dal suo illuminarsi in volto e dai complimenti al mio indirizzo capisco quello che e’ successo. Per un cristiano l' ottimismo e’ una professione di Fede, ma è anche un profondo impegno personale e nei confronti degli altri a seguire una Sadhana speciale.

Non ho fatto in tempo a spaventarmi per l' impegno preso perché mi sono subito reso conto che insieme ad esso sono già arrivati gli aiuti, gli strumenti di lavoro, il suo amore. Sono tornato alla realtà in virtù di uno dei suoi usuali applausi

 

 

proprio diretto a me, suo nuovo ospite.

Tutti i timori nell' attesa del mattino sono ora svaniti per lasciare posto ad un entusiasmo che trasforma dal di dentro. Con quest' animo scendo quasi correndo e saltellando dalla Collina, giù per il canalone della Via Crucis.

Un noto attore, che di mestiere simula di essere qualcun altro, mostra invece a tutti il vero se stesso nel prendere materialmente su di se’ una grossa Croce per portarla poi fino in cima alla Collina.

Procediamo insieme per la salita e ci arrestiamo alla prima stazione. Un leggero fiato grosso mi fa considerare che salire e’ più difficile che scendere. Il Padre ci interroga a turno con semplicità e con tono vagamente faceto. Nelle nostre risposte alle sue domande c' e’ sincerità, ma la differenza tra la nostra e la sua consapevolezza appare palpabile.

Mi sorprendo a pensare in modo piano e razionale alle sue frasi e le apprezzo. Mi colpisce la filosofia.

Alla terza stazione mi rendo conto che mi sto privando della parte migliore.

Mi ero infatti gia’ chiesto perche’ ogni tanto il Padre sembrasse cambiare voce. Ripensai alla breve e disadorna celebrazione della Penitenza avuta con lui.

Dopo il fraterno messaggio di speranza aveva cambiato voce e, nel classico tono nasale dei salmisti di una volta,  aveva pronunciato una frase biblica.

Alla quarta stazione decido di cambiare atteggiamento e mi rendo conto che tutto cio’ che precede serve a mettere la coscienza in ascolto e a tacitare la mente.

Poi la citazione arriva e lavora dentro di noi. Dal basso all' alto: dalla base della Collina attraverso le stazioni fino alla vetta dell' Eremo.

Dalla morte alla vita. Questo e’ il senso profondo del luogo.

"Che bella esperienza" mi sfugge di dire, un volta sul piazzale. Non credevo mi avrebbe sentito, invece si gira di scatto e mi dice:

"Che ne pensa, un ingegnere, di uno che dorme con la cassa da morto sotto il letto?"

Capisco che non si aspetta che gli risponda con le parole, ma con i fatti. Quindi taccio e collego cio’ alla domanda fatta poco prima durante una delle stazioni:

"Che ne pensano due insegnanti di Yoga della Resurrezione?"

E’ vero forse abbiamo tutti messo il cappello della nostra identita’ sulla nostra anima.

Invece la Scrittura e’ il significato profondo di ciò che si sta vivendo e di che cosa si vivrà nell'  aldilà.

Improvvisamente per merito della magia di questo luogo, la matrice comune dei due mondi si manifesta e ci sorprendiamo a chiederci che cos' e’ che renda invece le cose che ci circondano così imperfette ed inconoscibili.

Quell' ottimismo nel quale ci siamo  impegnati ci conferisce una fiducia assoluta nel meccanismo. Ciò che manca a renderlo perfetto, "qui ed ora", come direbbero gli indiani, e’ Lui in noi e noi in Lui. Il Padre ci invita a disporci in un atteggiamento di fiduciosa ricezione.

Mi viene in mente un tempo lontano in cui mi divertivo a consultare il libro cinese I King: Mi usciva sempre fuori l' esagramma cinese del crogiolo (Ting).

Siamo pronti a ricevere qualcosa di prezioso che trasforma la materia ordinaria in monili d' oro. Ma qualcuno l' oro deve pur mettercelo.

Durante le letture della S. Messa del Venerdì Santo accade ancora qualcosa. Mi rendo conto di vivere con la mia anima come in quell' esempio enunciato da Swami Satchidananda che diceva:

"Quando si leggono le Scritture e’ come affacciarsi dal primo piano dell' Empire State Building: il panorama e’ bello, ma limitato. Via via che si continua a leggere le Scritture e’ come affacciarsi  sempre dallo stesso grattacielo, ma dal 12° piano, anche quello che c' e’ sotto e’ lo stesso, ma il panorama e’  migliorato molto."

All' Eucarestia il Padre mi sorprende ancora:

"Masticate l' ostia, masticate! Gesù vuole essere masticato".

Ripenso alla mia infanzia e a quell' Ostia nell' ostensorio sull' altare  e al "kirtan" Pange Lingua.

Ecco il versetto del "Tantum Ergo" dove si canta che i sensi si ritraggono per vivere nel profondo dell' animo il messaggio antico e profondo dello Spirito. La sacralita’ dell' Ostia come consapevolezza.

"Gesù vuole essere masticato."

Certo, cibarsi e’ amarsi.

La sacralità dell' Ostia come sacrificio di amore. Dalla sua morte (fisica) la nostra vita (spirituale).

Il messaggio del Padre. E’ Venerdì Santo! Masticate la Scrittura. Dalla nostra Morte la nostra Vita.

Il dono della Collina: l' ottimismo dell' anima.

                                             

                                              Lavinio Gualdesi


Mi porto' mia madre, quando avevo trent'anni, da padre Natale, una persona meravigliosa che colpi' il mio cuore all'istante. Io non ci volevo neanche andare, non andavo in chiesa e non me ne fregava niente di Dio e della fede, non sapevo più cosa fare della mia vita e vagavo nel buio e nel nulla. Mia madre mi ci porto' quasi a forza, insistette tantissimo e alla fine solo per farle un favore accettai.

Comunque tagliando corto...mia madre provo' una felicità mai provata prima, così mi disse, nel vedermi partecipare alla messa in quella piccola stanzina e fare praticamente il chierichetto per padre Natale. Mi confessai e feci pure la comunione. Oggi vado spesso a parlare e a confessarmi da don Edo Cabassi, molto legato a fratel Natale, e in lui ritrovo la forza lo spirito e l'infinita gioia di vivere nell'amore di Gesù e di Maria, come padre Natale mi aveva insegnato. Grazie grazie grazie

                               

                                             Giovanni Chesi 


Ritratto di Padre Guglielmo Gattiani


Mi è stato chiesto da una cara amica, di scrivere qualcosa su padre Guglielmo Gattiani, vuole conoscere questa figura mistica cristiana, ed è bene che anche molti altri lo conoscano. E’ un santo dei nostri tempi, della nostra tradizione, un santo per certi versi antico e allo stesso tempo modernissimo. Si è impegnato per far nascere una televisione cristiana evangelica, quando ancora non esistevano emittenti private, che arrivasse al cuore di tutti, delle famiglie, eppure lui non guardava televisione, non andava al cinema, forse non ascoltava nemmeno la radio. Non so neppure se avesse il tempo di leggere i giornali. Di lui non so tutto, ho conosciuto persone che mi hanno raccontato aneddoti, momenti significativi della sua vita…per esempio non sapevo delle sue bilocazioni; l’ho saputo ascoltando una conferenza fatta a Radio Maria. Ci sono diversi testimoni che lo hanno visto, gli hanno parlato dopo averlo invocato in difficili momenti della loro vita; eppure lui durante il giorno non si muoveva da Faenza, impegnato con le confessioni, benedizioni, preghiere di guarigione ecc. Io posso scrivere quel poco che ho visto, che ho vissuto con lui, la mia esperienza con i suoi figli spirituali, fra cui padre Natale Montalti, che è il religioso che mi ha cambiato la vita e mi ha fatto innamorare della Parola di Dio. Con Natale ho riscoperto le mie radici cristiane e cosa di non poco conto, ha fatto si che anche mia sorella, mio cognato, poi mia madre e infine mio padre, facessero lo stesso mio cammino. Un cammino di conversione che non finirà mai, sempre irto di ostacoli e tentazioni, ma che è un cammino di speranza, nella certezza di una destinazione, pur nel buio della pura fede. Parlare di padre Natale sarebbe troppo lungo e spero un giorno di poterlo fare, dico solo che tramite Eros, (Presidente della Federazione Italiana Yoga), nel 1980 sono stato per la prima volta al Querceto, nell’Appennino parmense. Se mi avessero detto che avremmo fatto un’esperienza da dei frati, dei religiosi, non sarei andato…Eros allora parlò di eremiti e la cosa mi incuriosì. A quel tempo odiavo la Chiesa, il Papa e tutto ciò che aveva sentore di Cattolico Apostolico e Romano. Quando mi trovai di fronte a due uomini con il saio e davanti cucita una grossa croce, mi spaventai, ma ormai non potevo più scappare. Quello più giovane, allora Natale aveva 40 anni, quando mi vide, allargò le braccia con la gioia stampata sul viso, dicendo: “Cristo è Risorto” poi mi abbracciò, come se mi aspettasse da tanto tempo. Io, pronto allo scontro, anche fisico, gettai le “armi” e mi arresi irrimediabilmente…non pensavo ad una cosa del genere! Eros “mi aveva fregato” e gliene sarò sempre grato! Ci ritrovammo nella cucina al caldo, era autunno inoltrato, la neve caduta durante il giorno copriva i campi e la casa fatiscente. L’unica stufa a legna era solo lì. Nelle piccole celle con il pavimento di legno e vecchi letti cigolanti, l’odore di muffa e di candela quasi ti soffocava. Le finestre avevano vetri rotti e al posto dei vetri, del nailon attaccato con delle puntine. La cena quella sera, aveva come menù, patate lesse e pere cotte. Eppure è stata la più bella cena della mia vita, intorno al grosso tavolo di legno, con la luce delle candele che muoveva le nostre ombre facendole come danzare, poi la preghiera di Compieta, che non conoscevo, guidata da Natale col suo vocione e l’accento romagnolo. L’acqua era di una sorgente vicina, mi sembra di ricordare anche un caffè d’orzo prima di andare a letto. Eppure quella notte ho dormito profondamente, senza sogni, e all’alba mi sono risvegliato al suono della campanella che ci invitava alle Lodi mattutine, con la faccia fredda, pur dentro il sacco a pelo e con il passamontagna. I bagni erano fuori, e dovevamo rompere il ghiaccio nelle bacinelle per lavarci la faccia. Sto cercando di memorizzare più cose possibili, son passati 34 anni…adesso ricordo una scena: Salivamo verso la casa dove ci attendevano, Bruno teneva in mano una cassetta di mele, portate da Spezia, che a un certo punto gli cadde, e molte mele rosse rotolarono giù per la discesa, lasciando una scia sulla neve fresca, il paesaggio era illuminato a giorno da una grossa luna piena. Io poi le ho raccolte, ma quella sequenza di immagini con il contrasto del rosso sul bianco,sembrava portarmi dentro un film di Tarkovskij. Da allora siamo tornati spesso al Querceto da Natale, e una volta decidemmo di fare un salto a trovare padre Guglielmo a Faenza. Avevo sentito parlare molto di quello strano frate. Partimmo in serata, lui ci attendeva dopo le 22.00. Tutto il giorno era stato a confessare e benedire in chiesa, davanti all’altare del Crocifisso miracoloso. Restammo con lui tutta la notte e alle 04.00 ripartimmo per il Querceto. Durante il viaggio di ritorno, nessuno dormì, non abbiamo smesso di parlare e ricordare quello che avevamo vissuto. Ma lui quando dorme, ci siamo chiesti? Fratel Lino rispose che lui non dormiva quasi mai; tutt’al più un sonnellino di un’ora o due, sdraiato a terra, davanti al tabernacolo! Eppure aveva quasi 70 anni. Venne lui quella sera ad aprirci il convento, i suoi confratelli dormivano già! Un omino piccolo, dentro un saio rattoppato ma pulito. Sembrava un monaco zen, uno sguardo intenso e profondo che ti trapassava, ma subito dopo ti sentivi accolto dal suo sorriso, dalla sua voce mite e chiara: “Cari angioletti, vi aspettavo!” Era felice di vederci, proprio come fa il mio Francesco quando alla sera mi corre incontro, gridando papà, papà! Lui chiamava tutti “angioletto”. Quella sera ci ha parlato delle meraviglie dei santi, ha raccontato la vita di tanti santi francescani, ricordo san Serafino da Montegranaro, san Lorenzo da Brindisi, san Giuseppe da Copertino: “volava come una rondine!”, poi il santo Curato D’Ars, sant’Ignazio di Loyola, santa Elisabetta d’Ungheria e tanti altri che non conoscevo…ah, bella la storia di san Felice da Cantalice: “Un giorno il grande cardinale Carlo Borromeo, va in visita all’oratorio di san Filippo Neri, il giullare di Dio. Vuol sapere cosa ne pensa di una regola scritta per una congregazione di religiose…si presenta con un grosso volume, ma Filippo ha ben altro da fare, figuriamoci se ha il tempo per leggere una cosa del genere, e per dargli una santa lezione lo porta a trovare il fraticello questuante Felice da Cantalice, analfabeta. “Ti porto dal mio teologo” gli dice il burlone di Filippo. Lo vanno a cercare nelle periferie di Roma, e quando Felice vede arrivare Filippo col cardinale Borromeo, si butta in ginocchio con tremore e timore…Filippo lo tira su e gli dice: Felice, il cardinale ha scritto una regolina, dimmi cosa ne pensi! Questi si alza, prende il grosso volume, lui che non sapeva ne leggere ne scrivere, lo osserva, lo soppesa un po’ fra le mani poi dice: E’ troppo pesante! Allora il cardinale capisce la grande lezione di umiltà datagli dal semplice fraticello.” Sembravamo tutti dei bimbi, con la bocca aperta, incantati all’ascolto delle vite dei santi. Eppure “La santità è la più bella avventura d’amore accessibile a tutti” ci disse citando san Massimiliano Kolbe, il francescano morto in un lager nazista. Alla fine ci porta nel refettorio, tira fuori una bottiglia di uno strano e sconosciuto amaro, veramente imbevibile, tutti ne prendono un goccio per non offenderlo, lui non beveva alcolici e gli sembrava di offrire una sorta di nettare degli dei…ricordo che inseguiva Nestore, il più anziano del gruppo, e questi cercava di nascondersi per evitare un ulteriore sgradita bevuta…io morivo dal ridere. Dimenticavo l’esperienza della confessione! Prima che ci riunissimo a raccontarci e a sentire le vite dei santi, siamo stati a recitare il Rosario in Chiesa, mentre a turno andavamo a confessarci o a parlare a tu per tu col padre…lui ci attendeva seduto davanti al Crocifisso miracoloso. Cosa gli dico, mi chiedevo? Allora mentalmente cercavo di prepararmi, di trovare le parole giuste, “e se lui legge nel cuore della gente come si dice?” Insomma, quando è il mio turno mi inginocchio davanti a lui e lui allora si inginocchia davanti a me. Eravamo alla stessa altezza. Non son riuscito a dire una parola, ero come balzato fuori del tempo e dello spazio, ho blaterato qualcosa, ma poi è stato lui a parlare, e parlava, parlava, mi accarezzava la testa, mi è venuto da piangere, avevo il mio capo poggiato sul suo petto…ricordo solo che alla fine mi disse: “preghiamo affinché tu possa diventare un grande missionario!” Non so dire quanto sia durato il tempo della confessione, so solo che dopo mi sentivo leggero, felice, liberato. Ho sempre pensato nel tempo a quella frase, al fatto che potessi diventare un missionario, e penso che il padre ci abbia, in buona parte, azzeccato. Sono stato nel lebbrosario di padre Carlo Torriani, missionario del P.I.M.E. a Mumbay in India per ben due volte, ed ho dipinto la prima volta il Cristo che guarisce il lebbroso, in una parete della cappella dove si celebra la Santa Messa. La seconda volta, la Madonna di Velankanni che appare ad un bimbo, in una grossa edicola alta più di tre metri, fatta costruire appositamente. Condividere momenti di lavoro, di preghiera, di festa con i fratelli lebbrosi, è stata la mia esperienza più intensa e sconvolgente. Il fatto poi che sia diventato un educatore, un insegnante di Educazione Artistica alle scuole medie, avendo a che fare con adolescenti, sempre più disamorati della Chiesa, di Dio, sempre più prede di mode effimere e devianti, con conseguenze disastrose per molti di loro quali: depressioni, crisi di panico, fobie di ogni genere, alcolismo, uso di sostanze stupefacenti ecc. conferma il mio ruolo di missionario; se pur indegnamente, in una terra sempre più bisognosa di testimoni della fede come la nostra Italia e tutto il mondo “occidentale”, industrializzato, ricco; dove si è smarrito il senso del vivere, valori e ideali. Me ne accorgo tutti i giorni, confrontandomi con gli alunni e con le loro famiglie. i miei ragazzi faccio vedere i video fatti durante i miei viaggi, e regolarmente restano colpiti, perché “l’eroe” o il protagonista è il loro insegnante con cui si confrontano quotidianamente. Questo, aumenta la loro stima nei miei confronti, ed è così che posso trasmettere qualcosa, ma non è facile. I discorsi non penetrano, le parole si disperdono, solo l’esempio è importante per loro, come lo è stato per me l’aver incontrato e frequentato figure di “carne” che solo con il loro esempio, mi hanno “ribaltato” e messo in guardia dalle insidie del “principe di questo mondo”. Poi padre Guglielmo era un potente esorcista, anche se non ha mai voluto parlare di certe cose. Ripeteva: “Si c’è il male ma il bene è infinitamente più grande”, per poi cambiar discorso. Ricordo però un episodio inquietante. Nel riascoltare a casa le vite dei santi, (avevamo portato a Faenza un piccolo registratore), ogni tanto si sovrapponeva alla voce di Guglielmo un suono fastidioso, sgradevole. Durava pochi secondi, e questo accadeva diverse volte nella registrazione. Franchino, che ora è nella Casa del Padre, ha fatto rallentare da un tecnico quel suono e si sentiva una voce cavernosa dire delle bestemmie! Ci eravamo un po’ spaventati tutti, ora non so che fine abbiamo fatto quelle registrazioni…ma da un personaggio di quel calibro ci si può aspettare di tutto. Una volta ho portato Natale, Lino ed Anna a Faenza da padre Guglielmo. Ero su con loro da un paio di giorni, c’era la neve, e a causa del maltempo e del freddo, non si era presentato nessuno al Querceto. Per me era una gioia dividere i loro momenti di preghiera e di lavoro, mangiare insieme, alzarsi con loro la mattina per scendere nella chiesina, che una volta era la stalla, recitare i Salmi, le lodi mattutine. Quella sera li avevo caricati sulla mia Renault rossa e dopo un lungo viaggio di quasi tre ore, fatto di Rosari e silenzi siamo arrivati. Dovevano rivedere e modificare la piccola regola del Querceto. Guglielmo ci aspettava come al solito dopo le 22.00, per me era un onore stare in mezzo a quelle splendide persone e sentire parlare di Dio. C’era un’atmosfera forte e presenze angeliche alleggiavano intorno a noi. Dopo la preghiera allo Spirito Santo, loro iniziano a lavorare, ed io stranamente pur essendo il più giovane, faticavo a tenere gli occhi aperti. Mi sentivo come Pietro nell’orto degli ulivi, che non è riuscito a vegliare e pregare con Gesù, si era addormentato. La presenza dello Spirito era troppo forte per me, ancora impregnato di dubbi e schiavo delle passioni terrene. Si erano accorti della mia spossatezza e Guglielmo mi invita a seguirlo, mi conduce in una celletta del monastero, mi da la buona notte e subito crollo in un sonno profondo. La sua mano sulla spalla, la mattina successiva, mi fa tremare di paura ma subito la sua voce mi rincuora: “buongiorno angioletto, dormito bene?” Mi sono alzato, loro mi aspettavano per la colazione, erano stati svegli tutta la notte a parlare e a scrivere. Ero sbalordito a vederli così radiosi e freschi come rose.. Prima di ritornare a casa, ho scattato alcune foto, si erano messi in posa divertiti e una di queste foto, con Natale, Guglielmo e Lino è poi stata stampata in migliaia di copie e distribuite ad amici e conoscenti.




Sto cercando di ricordare il più possibile, senza seguire un ordine strettamente cronologico. Un giorno stavo andando a Rimini, e decisi di fermarmi a Faenza, volevo passare a salutare padre Guglielmo. Entro in chiesa ed assisto ad una scena surreale; bambini nudi che si rincorrono tra le panche della navata centrale. Cosa sta succedendo mi son chiesto? Davanti all’altare padre Guglielmo dialoga animatamente con un uomo baffuto. Solo allora mi accorgo che erano zingari. L’uomo cerca di andarsene ma Guglielmo vuole impedirglielo. Ero pronto ad intervenire nel caso l’uomo baffuto, per altro robusto, volesse fare del male al padre. Poi mi accorgo che Guglielmo non voleva che lo zingaro se ne andasse senza aver preso un grosso tappeto. Il padre faticava a sollevarlo ma cercava di metterlo fra le mani dell’omone…questi alla fine cede, se lo carica sulle spalle, ringrazia e se ne va, inseguito dalla banda di marmocchi nudi. Padre Guglielmo li benedice a distanza, con ampi gesti delle mani. A proposito di benedizioni, Natale raccontava spesso l’episodio di lui con Guglielmo mentre facevano l’autostop per andare da Faenza a Parma. Era notte e pioveva. I due poveri frati, armati di croce e sacco erano sul ciglio della strada infreddoliti e stanchi. Si ferma un po’ più avanti un macchinone di lusso, loro corrono per salire, ma il guidatore non apre le portiere, si limita a tirar giù il finestrino ed urla in faccia ai due uomini di Dio bestemmie terribili, offendendoli con parole impronunciabili. Natale resta come bloccato, l’uomo al volante sta per andarsene ma Guglielmo lo benedice e per qualche metro lo insegue chiamandolo: “Angioletto fermati, ti voglio parlare!” L’uomo riprende la sua corsa e sparisce nel buio…mentre Guglielmo continua a benedirlo da lontano e ad invocare il Signore per quella povera creatura. Sembra una scena da film! Nel 1986, devo preparare una tesina, da presentare ad una commissione di esperti. Era l’esame per diventare abilitato all’insegnamento dello yoga. La tesi era centrata sulla preghiera Mariana per eccellenza, cioè il Santo Rosario, e il Japa Yoga che utilizza la ripetizione di un mantra e una specie di rosario che in India chiamano mala. Comparavo i due modi di pregare così simili eppur così lontani fra loro. Ero anche stato a Mediugorje e nella tesi racconto anche la mia esperienza in quel luogo santo e benedetto. Subito chiedo ai fratelli del Querceto di scrivermi qualche riga sui misteri del Santo Rosario. Natale mi manda uno scritto bellissimo sui Misteri Dolorosi, Lino su quelli Gaudiosi. “A chi posso chiedere dei Misteri Gloriosi?” Ho subito pensato a Guglielmo, poi mi son detto: Ma come fa a trovare dei momenti liberi per scrivermi con tutto quello che ha da fare? Volevo rinunciare a coinvolgerlo, ma poi decido di provare. Gli invio una lettera spiegando il motivo della mia richiesta…e aspetto! Dopo meno di una settimana mi arriva la sua, una letterona che ancora conservo, dove mi spiega tutti i Misteri della Gloria. Ma dove ha trovato il tempo? Nello Spirito tutto è possibile. La lettera inizia così: “Mio carissimo Simeone Egildo, in questo momento, molto tardi, 19.40, perché devo scendere a celebrare la santa Messa, ti dico solo che ho molto piacere che tu studi ioga (scritto proprio così), che ti faccia grande esperto e che tu la voglia fare incarnandola nel vangelo, in Gesù, e proprio specializzandoti nel Santo Rosario: cioè Gesù, la Sua Parola….per mezzo di Maria, con Maria, in Maria, per Amore di Maria…Ecco figliol mio, la Santa Messa che ora vado a celebrare, sia proprio perché tu divenga un grande apostolo!” Poi prosegue con parole bellissime, ispirate, sui Misteri della Gloria e termina: “Mio carissimo, ecco qualche scarabocchio, che ho messo giù di getto senza rileggere. Perdonami, prega per me, tuo frate Guglielmo.” Questo era padre Guglielmo con la sua umiltà che era anche la sua grandezza. L’umiltà può abbattere ogni ostacolo e far fuggire i demoni. Natale ricordava dei sogni in cui era con padre Guglielmo, non so se il padre volesse comunicare col suo discepolo attraverso i sogni, ma conoscendo i personaggi non lo escluderei. Una volta ha raccontato che in sogno stava con padre Guglielmo e consolavano un sacco di gente, erano attorniati, strattonati da ogni parte. Poi natale dice al padre: “Andiamo a riposarci un poco, siamo sfiniti” e Guglielmo rispose: “Ci riposeremo in paradiso”. In una delle nottate, passate a Faenza, ricordo che lui ci ha parlato del viaggio in Terrasanta. Non ha accennato al personaggio che lo inseguiva da anni per ucciderlo e poi quando si sono incontrati, proprio in Terrasanta, lo ha bloccato con lo sguardo e redarguito in modo energico e deciso, tanto che questi poi non si è più fatto vedere! Ci ha raccontato invece del viaggio da Cana di Galilea a Nazareth, fatto di notte a piedi. Di quando è stato attorniato da cani randagi, che avrebbero voluto sbranarselo, lui ha gridato più che poteva e ha pregato, poi i cani si sono dileguati. Ha continuato a camminare sino alle prime luci dell’alba. E’ salito sul tetto di una casa, quando ha risentito dei latrati di un altro branco di cani e dal tetto con i primi raggi di sole ha cantato le lodi mattutine e meditato la bellezza del creato. Son tornato diverse volte, di passaggio, a salutare Guglielmo anche se per pochi minuti, dato l’afflusso delle persone che aspettavano una sua parola di conforto o una benedizione. Una volta ritornando da Recanati con Livio e Toni, decido di portarli a conoscere padre Guglielmo. Usciamo a Faenza ma arrivati davanti alla chiesa dei cappuccini notiamo una coda di persone che arrivava sino al sagrato…allora cerco di aggirare l’ostacolo. Suono alla porta del convento e chiedo di fratel Lino, il vecchio compagno di Natale ai tempi del Querceto. Era lì, ospite dei frati, ammalato. Lino mi viene incontro, ci abbracciamo commossi, lui sapeva di dover morire, ci fa entrare e attraverso dei corridoi ci conduce dietro l’altare dove padre Guglielmo impartiva le sue benedizioni. Va da lui, gli dice qualcosa, Guglielmo ci guarda, viene verso di noi, per nulla disturbato dalla nostra sfacciataggine. Chiedo una benedizione veloce e lui tira fuori dalla tasca del suo saio dei piccoli recipienti con sale e olio benedetti. Tocca la fronte a ciascuno di noi, recita delle preghiere ci unge con segni della croce, poi ci saluta e ritorna al suo lavoro. E’ stato un grande dono del Signore. A Toni e Livio quello sguardo dolce e severo del padre, resterà per sempre impresso nella loro mente. Ogni tanto, ancora adesso,Toni ricorda quegli occhi penetranti e infuocati. Passano gli anni, nel 1998 muoiono padre Natale (aveva 59 anni), Lino e madre Chiara del convento delle cappuccine di Lagrimone (PR). Nel giro di 15 giorni salpano tutti e tre verso le braccia di Dio. Qualcuno mi ha detto che Guglielmo vedeva tutto ciò come un grande miracolo ed era felice di sapere i suoi figli spirituali assieme in paradiso. Guglielmo morirà dieci anni dopo, nel 1999. Si era accasciato, sfinito, dopo una giornata intensa, il suo cuore non ha più retto…prima di lasciare il suo corpo, con un filo di voce, ripeteva i nomi di Gesù e di Maria. Intorno a lui i suoi confratelli pregavano e piangevano. Ritornando a quegli anni d’oro, so che Natale ha molto pregato, affinché, irrequieto e indeciso qual’ero, trovassi la mia strada. Avrei avuto una vita da consacrato o una famiglia? Entrambe le cose mi affascinavano, pur continuando ad avere relazioni ma senza impegnarmi più di tanto. Ci tenevo alla mia libertà! Una frase che sentivo spesso da Natale, in pieno stile apofatico, e tipica del monachesimo cristiano orientale, era: “Farsi schiavi di Cristo per diventare liberi”. Allora non la capivo tanto, ma mi piaceva! Lui non sprecava parole, non giudicava, non condannava, ma ogni frase, ogni citazione, quasi sempre biblica, era in quel momento per te, lavorava in te, e quand’era il momento, si faceva chiara. Ancora oggi, in momenti particolari e poco comprensibili, certe sue parole risuonano in me e mi danno coraggio, forza, fiducia. Adesso che sono sposato ed ho un bimbo bellissimo, son sicuro che i “miei Santi” han lavorato molto e ancora adesso mi assistono. Prima del matrimonio decido con Patrizia di fare una breve vacanza in Romagna. Da tempo era mia intenzione di andare a pregare sulla tomba di padre Guglielmo Gattiani a Faenza (è iniziata la causa di beatificazione), su quella di padre Natale a Sant’Angelo di Gatteo e al ritorno su quella di don Lorenzo Milani a Barbiana nel Mugello. Affidare i nostri progetti, le nostre famiglie, i nostri amici e soprattutto una mamma albanese, che la famiglia di Patrizia conosce da anni, per aver fatto la baby-sitter a suo nipote Lorenzo e che ultimamente si è ammalata di una grave forma di leucemia! Suo marito Mimmo, tra l’altro, è quello che sta preparandoci l’appartamento dove andremo a vivere. Prima di partire avevo iniziato un’icona russa del Salvatore con il Vangelo aperto, presa da un libro comprato anni fa. Mi piaceva quel volto sereno, anche se il mio è diventato più serio e severo. Ho scelto quell’immagine a “caso”, da mettere nella nostra futura abitazione. Arrivati dopo mezzogiorno, causa un incidente sull’autostrada che ci ha costretti a prendere la via Emilia da Reggio sino a Bologna, la chiesa dei cappuccini di Faenza è chiusa e riapre alle 15.30. Troppo tardi per la strada che dobbiamo ancora fare! Scendendo dalla macchina mi accorgo di una gigantografia sulla facciata…e sorpresa, è proprio il Cristo dell’icona che sto preparando! Un icona non famosa, eppure quel volto era lì, che mi guardava, più dolce del solito. L’ho preso come un buon segno! Ora però c’era da superare l’ostacolo padre Guglielmo. Erano quasi le due e aspettare ancora un’ora e mezza non si poteva! Giro intorno al Santuario e non vedo cimiteri! Non c’era anima viva, i frati certamente riposavano…solo il canto delle cicale e il caldo! Dico sottovoce: “Guglielmo, pensaci tu!” Patrizia era in macchina e mi guardava. Saranno passati 10 secondi, quando una finestra lunga e stretta si apre…si affaccia un frate in canottiera e mi guarda, come dire: “Eccomi, cosa vuoi?” Chiedo di visitare la tomba di Guglielmo e lui mi da indicazioni per raggiungere il cimitero di Faenza dove sono sepolti in un ala i frati. Pensavo fosse all’interno del convento! Arriviamo spediti davanti ad un grande cimitero, non c’è nessuno, guardiamo gli orari per le visite e sconsolati notiamo che il mercoledì è giorno di chiusura! Attendo in silenzio il secondo segno e poco dopo si apre un portone, un ragazzo giovane dal volto angelico ci osserva. Ci conferma il giorno di chiusura anche se stranamente ci accompagna davanti al cancello chiuso da dove si potrebbero vedere anche se da lontano i frati. Gli dico che veniamo da Spezia e volevamo pregare davanti alla tomba di padre Guglielmo. Ci dice che lo conosceva ed era un ragazzo della sua parrocchia, poi lo guardo…: “Ci fai entrare un attimo?” “Accompagnaci tu!” Tira fuori un mazzo di chiavi e ci apre il cancello…”Proprio perché sono lì vicini, ma fate presto!” entriamo, mi aspettavo una grande tomba, invece era nascosto tra altri frati, solo il suo nome e una piccola foto, con quello sguardo penetrante…ricordiamo Aurora, faccio una ripresa veloce con la video-camera e cerco anche frate Lino, ma non riesco a vederlo, vuol dire che dovrò ritornare! Ringraziamo Guglielmo, il giovane angelo con le chiavi in mano e ripartiamo per Sant’Angelo di Gatteo, a dire una preghiera davanti alla tomba di padre Natale. Qua mi fermo, rileggo ciò che ho scritto, prendo coscienza del grande dono che ho avuto nell’aver frequentato dei Santi, che in apparenza sono come noi, hanno anche loro tanti difetti; Natale addirittura voleva scrivere un libro: “I difetti dei santi”, con loro ho vegliato, pregato, discusso, polemizzato, pianto, riso, cantato, suonato, mangiato e bevuto, camminato, dormito. A padre Natale ho anche tagliato i capelli una volta, con uno strumento un pò antiquato da barbiere, non ero molto esperto e lui ogni tanto si lamentava, mentre con la mano sinistra tenevo fermo il suo testone. Eros gli ha fatto fare il lavaggio del naso con la lota, come fanno gli yoghi; gli leggevamo l’autobiografia di Yogananda, o brani di Gandhi e lui nella sua grande umiltà ci ringraziava. Una volta in macchina gli ho fatto ascoltare un brano di Guccini che ad un certo punto diceva: Liberaci Signore dalle Sacre Scritture, diceva anche altre cose, ma quella frase lo aveva scosso. Quand’era un giovane seminarista, prese una coraggiosa decisione: quella di portare sempre con sé la Bibbia. Non la lasciava mai. Aveva avuto anche una lavata di testa dal suo vescovo. Prima del Concilio una cosa del genere era da eretici protestanti. Ebbene, lui dopo aver ascoltato il brano non si è scomposto ne indignato, ha solo detto: “Grazie mi ha fatto bene!” L’umiltà dei Santi. Una mattina mentre spalavamo la neve, lui era con gli zoccoli ai piedi, illividiti dal freddo e faticava a starmi dietro, (avevo 26 anni e facevo il muratore), gli ho dato del frate intellettuale. Era scoppiato a ridere. Ma allora ero giovane, inconsapevole di quello che stavo vivendo. Ora che ho 60 anni, rivivo tutti questi ricordi con infinita gratitudine verso il Signore e verso questi eroi dello Spirito. Ultimamente ho incontrato dei detenuti nel carcere di La Spezia, sono entrato come educatore, e loro han voluto sapere della mia vita. Non mi son sentito migliore o più buono, ho spiegato che se non avessi incontrato quelle persone eccezionali, forse avrei fatto più errori di loro. In questo momento, sono quasi le 23.00 dell’11 novembre 2014, e oggi si festeggia il centenario della nascita di padre Guglielmo, nato l’11 novembre del 1914…un velo di malinconia mi pervade. Io che ho avuto la fortuna di incontrare Maestri spirituali, di ricevere insegnamenti, di visitare luoghi santi, di fare esperienze straordinarie…cosa ho fatto di buono sino ad’ora? Mi sono convertito? Quanti errori ancora commetto! Quanti vizi ancora mi schiavizzano! Quanta poca preghiera e meditazione, e quanto potrei fare e non faccio, per aiutare chi ha bisogno, chi è nelle difficoltà, chi non ha nulla…e soprattutto, sono un esempio a scuola per i miei alunni, per gli amici, per mia moglie per il mio bambino, per chi mi conosce? Signore abbi pietà di me (povero peccatore, aggiungerebbe padre Natale).

                               

                                             Egildo Simeone  

 

PADRE NATALE E IL CONCILIO

PADRE GUGLIELMO GATTIANI

25 ANNI DALLA MORTE DI PADRE NATALE - GAZZETTA DI PARMA